ETIMOLOGIA DEL NOME 'MAREMMA'
COSA VUOL DIRE MAREMMA E PERCHÈ I TOSCANI LA MALEDICONO? È SCRITTO NELLA STORIA
Tutti in Toscana tirano in ballo di continuo la Maremma usando vari generi d’espressioni dalla semplice e innocua esclamazione: “Maremma!” per significare sorpresa, disappunto, imprecazione o per rinforzare un concetto, fino alle più colorite: “Maremma bona“, “Maremma maiala“, “Maremma impestata” o “Maremma bucaiola“.
Ma cosa vuol dire Maremma?
Il toponimo maremma deriva per alcuni dal latino marĭtĭma “contrade marittime”, per altri dal castigliano marisma che significa “palude”. La parola designa una particolare conformazione che assumono le zone costiere pianeggianti davanti alle quali, per l’esiguità delle maree, si forma un cordone litoraneo chiuso, che delimita specchi d’acqua interni in cui sboccano corsi d’acqua che tendono lentamente a colmarli di materiali solidi, producendo paludi e acquitrini.
In Italia, per antonomasia, è chiamata Maremma (o Maremma toscana) la fascia costiera compresa tra il fiume Cecina e i monti della Tolfa. Il territorio è in prevalenza pianeggiante e alluvionale, ma in parte anche collinare. Il clima è mediterraneo, gli inverni in genere miti mentre le estati calde e siccitose.
Oggi la Maremma è una tra le top world destination, visitata da turisti di tutto il mondo, ricca di storia, cultura, bellezza artistica, ma soprattutto naturale e paesaggistica.
Ma è sempre stata così? Ovviamente no, altrimenti non si spiegherebbe il nome del toponimo che allude intrinsecamente a una zona paludosa e malsana più ricca di pericoli che di attrattive.
Per comprendere cosa vuol dire Maremma, dobbiamo necessariamente inoltrarci tra le pieghe del tempo. La storia della Maremma vede infatti un alternarsi di periodi più o meno fortunati. In questa zona della Toscana esistono importantissime testimonianze etrusche e romane: città come Populonia, Roselle, Vetulonia, risuonano di fascino leggendario, quest’ultima tra l’altro, fu una delle prime in ordine cronologico della Dodecapoli etrusca a battere moneta, il vat. In epoca altomedievale, la Maremma era legata soprattutto al nome degli Aldobrandeschi, di probabile origine longobarda, padroni di 100 castelli, che testimoniano lo sviluppo della zona e il grado di inurbamento di queste terre, soprattutto nella fascia collinare, che vedeva una prospera economia curtense. Con la fine del feudalesimo, e soprattutto con l’affermarsi delle signorie, nel XIII secolo la Maremma cade sotto l’influenza della Repubblica di Siena, la quale conquista militarmente anche Grosseto, trasformando la zona in un gigantesco pascolo a pagamento, e istituendo la dogana dei paschi – da cui trae origine il nome della famosa banca senese – che grazie al clima mite e a precoci primavere, attira i transumanti del Centro Italia. Purtroppo la perdita dell’indipendenza e l’assoggettamento allo sfruttamento senese devasta l’economia locale e comporta l’abbandono del territorio coltivato, con l’inevitabile incremento delle terre paludose. A partire dal XIV secolo, infatti, la presenza dell’uomo in questa regione diverrà sempre più precaria, dovendo anche fare i conti col terribile flagello della malaria e con la povertà. Dal Settecento inizia la dura lotta umana contro le vaste paludi e gli acquitrini costieri, fiumi senza argini che allagavano le terre fittamente coperte da boscaglie e macchia mediterranea. La malaria intanto continuava a mietere vittime a ritmo serrato, tra cui lo stesso granduca Ferdinando III di Lorena il quale, in visita in Maremma, contrasse la malattia e morì nel 1824. Al suo spopolamento si aggiungeva la scarsa fertilità della terra che permetteva solo una piccolissima produzione di grano e inoltre, come se non bastasse, nei primi decenni del Settecento si verificò un altro flagello biblico, dato che la regione fu periodicamente invasa dalle cavallette. I cronisti dell’epoca annotano che nel giugno 1711 apparve dal mare un’immensa nube di locuste che oscurò il sole e ricoprì rapidamente tutta la campagna intorno a Piombino. Negli anni successivi le invasioni di cavallette proseguirono (fino al 1786) estendendosi a nuove campagne e distruggendo oltre 70 miglia di terre coltivate. Come se non bastasse vi erano anche difficoltà giuridico-amministrative che ne ostacolavano lo sviluppo. Sui terreni di pascolo vigevano le “bandite per usi” (pascolo gratuito per i residenti) e le “bandite per fida” (affitto dei pascoli per la comunità). I pascoli restanti erano di proprietà granducale (dogana di pascolo) e potevano essere affittati a privati o dati “per fida” a forestieri. Dal momento che tutte le pasture maremmane erano di competenza della Dogana di Siena, era vietato recintarle anche se possedute da privati. Questo faceva sì che gli animali in libertà o incustoditi fossero decimati dalle piene dei fiumi (oltre 8.000 affogarono nella piena dell’Ombrone del 1749) o dalle epidemie. Nei primi decenni dell Ottocento il Granduca Leopoldo II di Lorena pose le basi per il passaggio dalla pastorizia all’agricoltura. Il Granduca, il 27 aprile 1828, emanò l’editto per la bonificazione della Maremma a spese dello Stato. I lavori cominciarono sul finire del 1829, e vi furono impiegati circa cinquemila operai. Vi parteciparono fior d’uomini di scienza e ingegneri idraulici, ma se non fosse stato per le felici intuizioni di Giuseppe Mazzanti, detto “il fattore di Bolgheri” – che ebbe l’idea di deviare in un nuovo canale scavato apposta le acque dell’Ombrone – l’impresa si sarebbe rivelata molto più ardua. Questa fu la prima grande svolta che, attraverso le successive bonifiche, e grazie alla vittoria sulla malaria e sul latifondo (con la riforma agraria e l’istituzione dell’Ente Maremma), avrebbe permesso alla Maremma di non essere più “maremma”, nel senso etimologico del termine, ma quel bellissimo territorio che conosciamo oggi, in parte ancora fieramente selvaggio, e per questo ancora più affascinante.
DETTO QUESTO…NON VI RESTA CHE VENIRE A VISITARCI
NOI DEL CAMPEGGIO PRINCIPINA VI ASPETTIAMO